È un periodo difficile per quanto riguarda il tema dell’immigrazione, ma in Italia c’è chi crede ancora nell’accoglienza e nell’integrazione. Riace ne è la prova: questo comune calabrese è rinato proprio grazie ai migranti (circa seicento Curdi) ed è diventato un modello di SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che funziona.
Nel 1998, infatti, il paese si trovava in grosse difficoltà economiche e una sua parte era totalmente disabitata. A trovarsi in difficoltà ancora maggiori erano, però, gli uomini, le donne e i bambini sbarcati sulle coste calabresi in cerca di aiuto. Ecco due mondi che sembravano tanto distanti fondersi insieme: Riace si ripopola passando da novecento a duemila abitanti, l’economia torna a girare, tanto che chi era stato, a sua volta, costretto a emigrare, decide di tornare.
Tutto questo è stato possibile grazie al sindaco, Domenico Lucano, che con il suo staff ha deciso di gestire in maniera del tutto originale i fondi stanziati dallo stato: ‘borse lavoro’ somministrate sotto forma di salario ai migranti che lavorano per le cooperative, e ‘bonus’, buoni pasto che si possono spendere solo in territorio comunale, in modo che a guadagnare siano anche le aziende locali. Di Riace hanno parlato in molti e tutti in termini entusiasti: papa Francesco, Roberto Saviano, Ada Colau e altri ancora.
Dal 2016, purtroppo, a seguito di un’ispezione andata male e di una successiva indagine ancora non conclusa, i fondi destinati allo SPRAR Calabrese son stati congelati e questo potrebbe decretare la fine di questa bella realtà.
Ci auguriamo che ciò non accada e che, oggi più che mai, situazioni in cui l’immigrazione abbia giovato al patrimonio economico e culturale di un paese vengano pubblicizzate e sostenute da stato e cittadini, a prescindere dal colore politico.
Daniela R.