Quando la Fisica parla di ‘dimensioni’, allarga il campo oltre il 2D o il 3D. Alle quattro dimensioni di cui abbiamo esperienza ogni giorno, se ne aggiungerebbero molte altre. Eugenio Calabi e Shing-Tung Yau si sono messi insieme e hanno teorizzato sei dimensioni extra, in aggiunta alle nostre quattro: è la varietà di Calabi-Yau.
Nel loro brano chiamato appunto Calabi-Yau, i Cani si addentrano in queste dimensioni teoriche – inaccessibili all’esperienza quotidiana, perché anche ammettendo i loro effetti, sarebbero su scale di grandezza non percepibili all’uomo. La musica, però, permette di saltare a piè pari le regole della fisica e applicare il what if alla vita reale. Così, nelle dimensioni di Calabi-Yau, cullati e immersi tra le tante onde da distinguere nello spettro fra il rosso e il blu si potrebbe trovare risposta ai molti misteri che da sempre attanagliano l’umanità, capire in che modo resistere all’assenza di qualcuno che non c’è più e come affrontare la morte o l’eternità.
L’uomo contemporaneo – normalmente chiuso alla ricerca di sé, stordito dall’egoismo e impaurito da ciò che (ancora) non conosce, tra ansia ed eccessivi stimoli – può allora cambiare grazie alle varietà di Calabi-Yau. Qualcosa si muove dentro di lui e il mantra – basta cercare la notte su Google il mio nome – permette di resistere alla tentazione di regredire, che viene dalla quotidianità e non va mai via del tutto.
Questa nuova sensibilità porta allora a un confronto tra il proprio modo di vedere le cose e i miliardi di mo(n)di di fare che esistono. Dentro di me non c’è niente di niente (perché) miliardi di mo(n)di – ancora da conoscere – esistono!
Come sarebbe bello se questi spazi di Calabi-Yau fossero veramente a disposizione dell’umanità.
Nel brano c’è più che un indizio di speranza. Allora, non si è trattato solo di un astratto e teorico esperimento. Tra le strofe si scorge che cogliere queste nuove prospettive sarebbe come avere miliardi di vite per fallire ancora. […] Per provare ancora.
Stefano C.
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