Un diamante è per sempre è una frase iconica, entrata nel linguaggio comune, frutto di una campagna pubblicitaria decisamente riuscita di De Beers. Ma perché? Lo dice l’etimologia stessa della parola, ἀδάμας, in greco indistruttibile: il diamante è la pietra più dura e resistente al mondo e così, secondo la geniale trovata pubblicitaria, dev’essere l’amore e il legame di cui si fa pegno.
Diamanti in 15 minuti e l’impatto sui brillanti naturali
Il processo di formazione di questa pietra è molto lungo: dopo milioni – se non miliardi – di anni il carbonio, con la giusta dose di pressione e calore, si trasforma nella pietra scintillante così amica delle donne (de)cantata da Marilyn Monroe.
E se all’uomo bastasse un quarto d’ora per creare un diamante? É quanto hanno dimostrato in un laboratorio in Corea del Sud dove – invece di utilizzare la tecnica già conosciuta da decenni che replica il processo di formazione naturale ad alte pressioni e temperature (HPHT) – hanno prodotto le pietre in un ambiente a bassa pressione, sfruttando una lega composta da gallio, ferro, nichel e silicio in un’atmosfera di idrogeno e metano. Il risultato per ora garantisce diamanti di dimensioni non sufficienti per essere applicati su un gioiello, ma le promesse sono delle migliori, soprattutto perché il processo è molto semplificato rispetto a quello standard che è estremamente dispendioso in termini sia di tempo (generalmente settimane) sia di energia.
Questa scoperta, dunque, potrebbe dare un’ulteriore spinta al mercato dei diamanti sintetici, già in forte espansione: in dieci anni hanno conquistato circa il 20% del mercato dei diamanti. Basti pensare che negli Stati Uniti oggi circa la metà degli anelli di fidanzamento viene realizzata con pietre prodotte in laboratorio.


Questa rapida espansione sta rivoluzionando il mercato: si stima che nell’ultimo decennio i prezzi dei diamanti naturali siano scesi di circa il 30% e per quelli di laboratorio fino al 90%. Infatti, se da una parte i costi (e quindi i prezzi) di laboratorio siano in rapida diminuzione per via delle continue innovazioni nei processi produttivi, dall’altra un sintetico ad oggi costa da un decimo alla metà dell’equivalente naturale, mantenendo le stesse qualità fisiche, chimiche e ottiche e non presentando differenze riconoscibili ad occhio nudo. Questo, evidentemente, pone in grande difficoltà i diamanti naturali, con impatti negativi sul loro valore di mercato.
Diamanti sintetici, diamanti sint-etici?
Il successo del sintetico non è solo legato al suo prezzo concorrenziale, altre ragioni sono da cercare nelle sanzioni contro la Russia, primo produttore mondiale di diamanti, e a questioni di tipo ecologico ed etico. Molti consumatori sono sensibili al tema dei Blood Diamond denunciati, tra gli altri, nell’omonimo film con Leonardo Di Caprio uscito nel 2006, così come vi è una crescente attenzione sull’impatto che l’attività di estrazione (per terra o per mare) ha sugli ecosistemi e l’ambiente circostante. Cogliendo queste esigenze è dal 2021 che Pandora, il primo produttore a volumi di gioielli al mondo, ha annunciato l’abbandono dei diamanti estratti a favore delle pietre cresciute in laboratorio. Sulla scia del successo avuto dal colosso danese, anche Tiffany si sta avvicinando a questo segmento presentando alcune collezioni di diamanti lab-grown.
A prima vista la soluzione sintetica sembra in effetti portare a innegabili vantaggi etico-sociali. Tuttavia, come tante questioni, va considerato anche l’altro lato della medaglia, su cui vi lascio qualche spunto.
A fronte delle esternalità negative derivanti dall’attività mineraria sull’ambiente, la produzione in laboratorio si avvale di processi che, almeno fino ad oggi, comportano un grande impiego di energia e l’utilizzo di materie prime il cui approvvigionamento può avere altrettanti impatti negativi a livello ecologico. Possiamo definire green un prodotto che per il 50% proviene dalla Cina e per il 15% dall’India, paesi in cui l’elettricità è prodotta tra il cinquanta e il settantacinque per cento con centrali a carbone?
Da un punto di vista sociale poi, se il cugino sintetico nasce ‘senza macchia’ non si deve sottovalutare l’impatto negativo prodotto su Paesi come il Botswana, secondo dopo la Russia nella produzione di pietre naturali, dove i brillanti fanno l’80% delle esportazioni, un quarto del PIL e un terzo del suo gettito fiscale. Queste economie fortemente sbilanciate dovranno ripensare le loro attività, a fronte di un’ascesa dei player asiatici.
Dai diamanti non nasce niente.. o forse sì?
Sono quindi molte le sfide aperte nei prossimi anni in questo mercato, anche per le caratteristiche uniche di queste pietre, impiegate in svariati settori industriali, dai semiconduttori e dissipatori di calore nell’elettronica – vedi gli 81 milioni investiti in questo senso dalla Commissione Europea per produrre diamanti in Spagna – a strumenti di diagnostica e chirurgia medica, fino ad applicazioni nella fotonica, optoelettronica e nella sensoristica.
Alla faccia di chi affermava che dai diamanti non nasce niente, queste pietre, naturali o meno, esercitano ancora un ruolo (e fascino) importante nelle nostre vite.
Carolina Spingardi
Un ringraziamento particolare a M.,
che mi ha fatto scoprire questo mondo
– oltre a riempirmi di gioia
per quello che
il suo ‘sintetico’
rappresentava.
Ad maiora!
© Credit immagini: Courtesy of Peter Hansen on Unsplash + link + link