«Ma quindi è tipo un erasmus in montagna?». È questa la domanda che tanti mi hanno posto riguardo a quella che, tra i miei amici, è presto stata rinominata ‘mobilità agreste’ o ‘bucolica’. E in effetti che cosa si potrebbe mai imparare in un mese di tirocinio in un villaggio abitato da una ottantina di persone, disperso tra le montagne di una delle valli più scoscese e disabitate del cuneese? A Ostana, in valle Po, al massimo ci si può un po’ rilassare, mangiare polenta, fare qualche trekking o una di quelle amenità che noi cittadini cerchiamo sempre in un altrove etichettato a nostro uso e consumo, mare o montagna che sia.
Magari era così anche a Ostana fino a qualche anno fa, quando gli appassionati di montagna iniziavano a preferire le valli ancora poco turistiche del cuneese alle tante mete-luna park che costellano le Alpi. A Ostana, però, è ormai da decenni che si respira aria nuova. Non è questo il luogo per ricordare la strategia architettonica e amministrativa che ha permesso a questo piccolo villaggio ai piedi del Monviso di diventare il vivace borgo di legno e pietra che è adesso — su questo rimando all’articolo dedicato a Ostana nel numero della rivista The Passenger di Iperborea dedicato alle Alpi.

Quello di cui mi sono resa conto a Ostana è che scommettere sul futuro della montagna, favorirne una nuova abitabilità, renderla attrattiva per vecchi e nuovi residenti e sostenibile negli anni a venire è una sfida che va intrapresa con molta consapevolezza.
La stessa che ho visto in tutti gli abitanti, e soprattutto in quelli nuovi, che oggi vi risiedono, coscienti della complessità di una scelta che, a dispetto delle narrazioni ingenue dei ‘cambi di vita’ e dei ‘ritorni alla natura’, ha bisogno di un lavoro di addomesticamento quotidiano per non arrestarsi al primo inciampo.
La stessa consapevolezza che ho visto anche in tutti i soci della Cooperativa di Comunità Viso A Viso, presso cui ho lavorato durante la mia Rural Mobility (sì, è questo il nome vero della mobilità, nell’ambito di quel curioso esperimento che è UNITA). Persone di provenienza e background diverso che, quasi senza conoscersi prima, nel mezzo della pandemia hanno fondato una Cooperativa di Comunità come strumento di innovazione sociale, al fine di rispondere ai bisogni del territorio. Per restituire, insomma, quei servizi essenziali che in alta valle ormai mancavano da tempo, a partire dal più importante per garantire a un luogo un futuro: la scuola per l’infanzia.

Di recente sono tornata a Ostana per Convers.Azioni – Festival delle Cooperative di Comunità, dove ho conosciuto persone bellissime che ogni giorno forniscono servizi essenziali, fanno rivivere luoghi e sviluppano il loro territorio, facendo della cooperazione non solo il loro lavoro ma uno stile di vita. Il tema del Festival era la sostenibilità, di cui si è voluto approfondire la natura non solo economica e ambientale, ma anche culturale, nella convinzione che è un cambio di mentalità, di visione del mondo e quindi di cultura quello che può permettere a un’iniziativa, a un’organizzazione o a un pianeta di durare nel tempo.

Così, ho capito che forse la sostenibilità necessita di quella consapevolezza della complessità delle cose che è tipica di chi va controcorrente e fa scelte difficili. Perché, è vero, a Ostana ho fatto yoga all’alba con una donna statunitense, ho stretto amicizia con una signora francese, ho suonato musiche occitane e girato un cortometraggio. Ma di Ostana ho anche sentito il freddo autunnale nonostante fosse luglio, ho sofferto la carenza dei servizi di trasporto quando dovevo scendere a valle, ho percepito la fatica di chi ogni giorno combatte contro l’inerzia di ciò che per anni è rimasto immobile.

Come suggerisce la scrittrice Marie-Hélène Lafon, che alle sue aree interne, quelle del Massiccio centrale francese, ha dedicato tutta la sua produzione letteraria, in fondo si può arrivare a chiamare qualsiasi posto ‘casa’, a patto però di avere il tempo e la pazienza di saper addomesticare. Addomesticare se stessi al luogo, e addomesticare il luogo a se stessi. Un po’ come avviene tra il Piccolo Principe e la volpe nel celebre libro di Antoine de Saint-Exupéry: «Je ne suis pour toi qu’un renard semblable à cent mille renards. Mais, si tu m’apprivoises, nous aurons besoin l’un de l’autre. Tu seras pour moi unique au monde. Je serai pour toi unique au monde» («Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo. Io sarò per te unica al mondo»).
Elena Del Col
© Credit immagini: Elena Del Col