Continuazione dell’intervista a Giulia Ceccutti dell’Associazione italiana nata nel 1991 a Milano, una delle realtà che, insieme ad altre nel mondo, supporta il villaggio Neve Shalom Wahat al-Salam.
Recupera la prima parte qui.
Anche una singola goccia che cade nel mare, fa rumore, in un mondo dove la guerra e l’odio hanno preso il sopravvento, c’è ancora spazio per il dialogo?
Educazione e dialogo. La conoscenza è il primo passo per creare un dialogo: anche per questo si insegna la storia da entrambi i punti di vista, per conoscere le rispettive identità. Ma poi ci sono anche le relazioni informali, perché si instaura un’amicizia e si costruisce una comunità.
Infine scelgono volontariamente il dialogo: sposano il principio della non violenza. Anche adesso, con la guerra, possono esistere posizioni differenti ma che vengono appianate in virtù del bene comune. Il villaggio si sente un simbolo di come potrebbe essere la realtà anche fuori: si può vivere insieme, alla pari nel bilinguismo e in democrazia, rispettando l’altro, la dignità, con reciproca legittimazione, il riconoscimento dell’esistenza di una comunità con diritti e doveri condivisi.
Esiste anche un Centro spirituale pluralista, uno spazio aperto anche all’esterno dedicato a quello che sembra un argomento “divisivo”. Partecipano musulmani, ebrei, cristiani, ma anche non credenti. Si parla di religione, dei punti di contatto e di riflessione. Il Centro organizza anche le feste a cui partecipano tutti e tutte, come la cena di interruzione del Ramadan, Hanukkah, Natale.

Questo non è un momento facile per quei territori, come sta vivendo la comunità questo momento storico?
La comunità è profondamente segnata da questi eventi, il dolore è tanto e non è semplice affrontarlo. All’ interno della comunità e tra le famiglie dei bambini che frequentano la scuola primaria ci sono famiglie palestinesi che hanno parenti a Gaza, che vivono in condizioni estreme, sotto il fuoco delle bombe e senza generi alimentari; d’altro canto vi sono sono residenti e genitori della scuola ebrei che hanno perso parenti, amici e persone care nell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Un mix non semplice da gestire all’interno di una piccola comunità.
Partendo dal presupposto che non si può essere d’accordo su tutto, la comunità è profondamente unita nel dialogo, nel rispetto reciproco e nel principio della non violenza, che rappresenta l’unica via per un futuro di pace per entrambi i popoli. In questo momento storico questi valori, non sono in discussione, anzi, rappresentano il futuro di questo territorio.
A questo proposito, l’Associazione, insieme alle altre Associazioni dall’estero, si è impegnata in una raccolta fondi per poter comprare materiale sanitario destinato agli ospedali di Gaza, dove uno dei residenti del Villaggio, un pediatra, ha sempre svolto missioni come medico volontario.
Ci lasci un messaggio per il Polo Positivo?
La pace è possibile, i ponti tra i popoli si possono riparare attraverso l’ascolto e il rispetto reciproco. Questa comunità ne è un esempio concreto, ma anche noi, nella vita quotidiana, possiamo applicare quei valori. Non è semplice, ci vuole un cambiamento della società e nel modo di pensare al diverso, ma è possibile, dobbiamo impegnarci per creare un mondo di pace.
Questo può avvenire anche in Israele, attraverso un processo di pace, che tenga conto dei due popoli.
Andrea Antoniazzi e Francesca Cesari
Courtesy of Giulia Ceccutti- Associazione italiana Neve Shalom Wahat al-Salam.