Abitano al terzo piano.
Sto per suonare il campanello, ma il cancello è già aperto. Entro nel cortile, c’è profumo di pioggia. Però qui tutto sembra, tranne che stia per piovere. Pare come se le nuvole cariche d’acqua girino intorno alla casa, come se fosse l’unico punto risparmiato dall’ira del cielo. Anche la porta di casa è già aperta. In realtà è socchiusa. Afferro la maniglia e spingo timidamente avanti.
«È permesso?»
Chissà perché lasciano le porte aperte. Forse perchè non aspettano nessun altro. Tuttavia mi fa sentire accolta, quasi come se le porte potessero parlare e mi dicessero “benvenuta, fai come se fossi a casa tua”.
Entro. Prima di salire le scale, calpesto un paio di Vans, la mia attenzione si sposta su tre paia di scarpe sparse sul pianerottolo e la mia mente gioca a indovina chi, immaginando a chi possano appartenere.
Arrivo al terzo piano. Quando entro in una casa, mi piace molto osservare la disposizione dei mobili, il colore dei muri, la posizione delle fotografie e le varie decorazioni. Trovo che dicano molto sulle persone che vi abitano.
Mi trovo in cucina. Mi guardo intorno. Capisco che non c’è un vero e proprio stile seguito per ornare la casa; quadri, tazzine, fotografie, libri, tutto è appoggiato in maniera disordinata, non c’è un colore dominante, ogni oggetto è a sé.
Ori mi racconta del twirling. E dell’università. E del fatto che ha troppi impegni.
Mentre parla sperimenta la ginnastica artistica: allunga le gambe su ogni superficie, sul tavolo o sulle sedie.
Nel frattempo arrivano San e Miya e la prendono in giro per il volume della voce.
Sembra sempre che usi un megafono per parlare, il volume aumenta sempre più, soprattutto quando ride.
Miya intanto prepara la moka. E apre un pacco di crackers. E un vasetto di yogurt alla ciliegia. Ha una faccia così affettuosa quando mangia, lei dice sempre che il cibo la rende felice.
San si siede accanto a me. E canticchia qualcosa. E si guarda le punte dei capelli. La compostezza dei movimenti delle sue mani mentre arrotola le ciocche, sembra emanare note di una canzone, una dolce melodia.
«Giuro…» dice una di loro.
Discutono su qualcosa.
Osservo Miya. Gira gli occhi a destra e punta lo sguardo in alto. Inchina leggermente la testa a sinistra. È solita muoversi così quando ragiona intensamente. I suoi movimenti sembrano onde del mare che cullano i pensieri e li fanno navigare, poi li trasportano con forza sulla spiaggia. Infatti le sue riflessioni arrivano dirette, provocando un piacevole fastidio, come il solletico. Storce un po’ le labbra e gira gli occhi a sinistra stavolta. Probabilmente non è d’accordo su qualche affermazione.
San rimane in silenzio. Sorride a scatti. A volte commenta con delicatezza il discorso, senza mai porsi in primo piano. A tratti guarda le sue sorelle. Uno sguardo innamorato che racconta molto sulle radici profonde del loro legame. Accarezza i capelli di Miya. I suoi gesti sembrano emanare una dolce fragranza.
La voce di Ori risuona ancora forte nella stanza. La sua risata riecheggia in tutta la casa, sembra penetrare i muri e fuoriuscire dagli spifferi dell’ingresso di casa. È una ventata d’aria fresca, coinvolgente, trasporta anche le mie labbra a fare quel risolino. Racconta di un certo ragazzo. Alza la gamba destra e l’appoggia su una sedia. È scalza. La naturalezza con cui il suo corpo esprime i suoi pensieri ricorda quella di un bambino. Come se non fosse mai stata contaminata dal mondo circostante.
Tre sorelle al terzo piano.
Si dice che le sorelle siano l’opposto l’una dell’altra, ma loro tre sono come il verde e il rosso o il blu e l’arancione, colori complementari che posti vicini rafforzano la loro luce.
Le guardo parlare e penso di non aver mai assistito ad un disordine così perfetto. Gli oggetti e i colori della cucina sembrano quasi fondersi tra loro, inghiottiti all’interno di una forma a cui ancora non riesco a dare un nome. Con loro, tutto qui si armonizza. E io pure.
«Vuoi un caffè?»
La voce di Miya, come l’infrangersi delle onde sugli scogli, mi desta dal flusso tumultuoso dei miei pensieri.
Mi versa il caffè e mi porge la tazzina. La guardo distrattamente, ma qualcosa richiama la mia attenzione. Un triangolo disegnato al centro dell’oggetto di ceramica.
Una forma geometrica che non può esistere se non è chiusa all’interno di tre lati, perfetta nel suo insieme.
Tre sorelle, i tre lati di un triangolo.
© Credit immagini: https://pixabay.com/it/illustrations/ragazze-tre-gli-amici-donne-8028130/
Virginia Galizia