La fine della chemio

La fine della chemio la festeggiamo su una spiaggia. Finchè il sole si alza, non si muore, non si muore. Cantano i Sick Tamburo. Si potrà capire il perché, continuano. Si potrà capire la ragione degli aghi conficcati nel braccio, delle flebo e del buio che non sembra finire. Ma si potrà capire, urlano a squarciagola. Si spezza una nota, mentre le lacrime dense mi arrossiscono il viso. Ma si potrà capire perché, la sottolineano – adesso – quella congiunzione strana. Perché. Con l’accento che va dall’altra parte, come quello degli spagnoli. Ho imparato a fare quel segno grafico strano seduta in un banco dall’altra parte dell’oceano. Le regole degli accenti sono infernali: devi contare su quale sillaba cade e da lì capire se la parola rientra in una di quelle categorie strane, per cui ci metti di più a fare tutti i conti che a scrivere quella singola parola. E allora li lasci senza accento: ci torno dopo, ti dici. E quella singola parola rimane lì, indecisa se infilarsi un cappellino oppure no. O se invece continuare a rimanere libera da strani simboli sopra di lei. Libera di non essere letta, di non essere acclamata a gran voce e di non dover rimanere nella memoria di studenti pigri. Forse, immersa nelle regole di grammatica spagnola, lo capisco il perché. Oppure no. Oppure mi godo la fine di questa stramaledetta chemio. La festeggiamo su una spiaggia, la stessa dove la prima volta ci hai guardate – a me e mia sorella – e ci hai detto: «Bambine, la prossima settimana mi ricoverano. Poi mi operano. E poi torno qui.». È stato un attimo: le nuvole sono diventate scure, o almeno per me, e il ritmo delle onde è rallentato. Non che non avessi visto o pensato a un ospedale negli anni prima, ma ecco, mai avrei detto che ci sarei tornata così spesso. Ora che la mamma stava bene, doveva toccare proprio a lui? I corridoi asettici non mi fanno paura, nemmeno i passi decisi di medici indecisi o il rumore ripetitivo che esce dalle stanze, mi fanno paura. Mi fa paura il silenzio. Quello che mi attorciglia i polmoni e poi il respiro, quando rimango da sola nella mia camera. Il cuore si muove con battiti più sostenuti e in testa sento solo una batteria che suona stonata. La festeggiamo su una spiaggia, vi dicevo, la fine della chemio. La festeggiamo in riva al mare, con tutti i tuoi amici e le tue amiche, con la mamma, la zia e pure il papà. Facciamo una grigliata e urliamo vaffanculo: vaffanculo agli amici che ci muoiono intorno e agli ospedali che puzzano di piscio. ¡E viva la vida y muera la muerte! Lo urliamo insieme, senza ancora capire il perché.

Federica Mangano