Associazione Lunghi Cammini 

Non ho mai tanto pensato, tanto vissuto, mai sono esistito e con tanta fedeltà a me stesso, quanto in quei viaggi che ho compiuto da solo e a piedi.
Questa citazione da Les confessions di Jean-Jacques Rousseau, prima che intraprendessi il cammino di Santiago, non aveva per me alcun senso. Mano a mano che percorrevo i 900 km che dai Pirenei francesi mi avrebbero portata a Finisterre, sulla costa occidentale spagnola, ho cominciato a comprendere quel riferimento alla pienezza di vivere. 

Che in quell’abbandono della routine e del proprio disagio ci fossero delle possibilità di riscatto, ci ha creduto fermamente Isabella Zuliani, fondatrice dell’Associazione Lunghi Cammini che nasce a Venezia nel 2016. L’organizzazione, sulle orme dell’esperienza francese di Seuil, realizza lunghi cammini educativi per minori autori di reato o in condizioni di disagio sociale. Ho deciso di intervistare Laura Rebesco, ex direttrice dell’USSM di Venezia, che ha contribuito a verificare la fattibilità del progetto. 

Come viene strutturato un cammino?

L’adolescente con comportamenti disfunzionali viene segnalato dai servizi sociali all’Associazione, che si occupa di illustrargli la proposta del cammino. Se il giovane aderisce, viene stipulato un accordo fra lui, la famiglia, l’Associazione, i servizi sociali e gli altri attori significativi, tramite il quale ciascuno definisce il proprio contributo per la buona riuscita del progetto. In seguito, viene affiancato al ragazzo un accompagnatore selezionato da una lista di candidati volontari, non necessariamente con formazione in ambito educativo. Infine viene scelto un percorso di circa uno o due mesi, durante i quali il ragazzo camminerà, conducendo una vita sobria, senza poter utilizzare il cellulare e, preferibilmente, ottenendo ospitalità da organizzazioni, parrocchie e famiglie che si rendono disponibili. Una equipe educativa composta da psicologi, educatori e assistenti sociali resta a disposizione per aiutare l’accompagnatore e il ragazzo nello sviluppo di un nuovo progetto di vita e nella gestione delle difficoltà quotidiane.

Quali sono gli elementi che fanno del cammino un metodo educativo? 

L’esperienza di rottura. A volte c’è bisogno che qualcuno intervenga a fermare questi ragazzi. La rottura poi va riempita con contenuti buoni, si cerca di connetterli a una conoscenza di sé diversa, che possa restituire qualcosa di buono. L’altro punto di forza è che c’è una persona lì tutta per te, 24h. Ha un compito arduo perché deve cercare di fronteggiare i momenti di difficoltà e questa è una cosa vincente perché in fondo è attraverso la relazione che si impara, fin da piccoli. È solo nella relazione che possiamo diventare grandi

A proposito del ritorno dal cammino, Laura mi riferisce che «non è automatico che un ragazzo torni risanato. All’inizio aspettavamo cambiamenti radicali al ritorno nella loro vita, adesso semplicemente offriamo questa opportunità e abbiamo fiducia che nel tempo questo seme possa germogliare». Pur riconoscendo la frustrazione dei tanti tentativi falliti di recupero attuati dai servizi sociali, insiste sulla necessità da parte dei servizi sociali di offrire ancora qualcosa al termine del cammino. Senza un cambiamento nel proprio ambiente, è difficile che il ragazzo riesca ad attuarne uno radicale nel proprio percorso di vita

Quali sono i passi futuri per l’Associazione? 

La durata e la complessa organizzazione di ogni cammino fanno sì che l’organizzazione si scontri con la costante necessità di trovare finanziamenti. Inoltre è fondamentale svolgere un lavoro costante con i servizi affinché tengano in considerazione questa inedita opportunità di riscatto per giovani che vengono da storie difficili.

Noemi Calgaro

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