Oggi il sole è caldo, «è una perfetta giornata per stare fuori» pensa, ma è in biblioteca. Nella stanza ci sono due divanetti posizionati uno di fronte all’altro: uno è blu, l’altro è rosso. In mezzo a loro c’è un tavolino quadrato, basso e nero.
Sul divanetto blu è seduta una ragazza con in mano dei fogli che continua a leggere e ripetere ad alta voce, ma è distante e distratta.
Toglie dalla tasca il cellulare per scrivere un messaggio. Prima di premere invio lo legge 8 volte, lo guarda, ci ripensa, ma poi preme invio lo stesso. Poggia il telefono sul tavolino e ricomincia a ripetere le parti evidenziate dei suoi fogli.
La gamba destra molleggia su e giù. Con una mano si scosta ripetutamente i capelli dal volto. Si fa una coda. La scioglie. La rifà. Si alza, ma si risiede subito dopo. Rilegge sempre la stessa frase, ma non ascolta le parole che escono dalla sua bocca.
Guarda il telefono.
Niente.
Ricomincia a ripetere.
Guarda il telefono. Lo prende in mano. Non riesce a stare ferma.
Un brivido la scuote. Forse poteva scrivere diversamente quel messaggio. Aspetta la risposta e l’attesa inizia a farle sudare le mani.
Quando ha iniziato a essere così insicura? Era sempre stata la ragazza che non aveva paura di ricevere porte in faccia.
«La vita voglio viverla con leggerezza.
Ci hanno insegnato che le cose belle sono difficili, bisogna sudarsele, bisogna fare fatica. Se no che gusto c’è? Ci dicono che tutto è così complicato e in più ci spingono ad aver paura di fallire.
E io non voglio vivere con questo peso. Io credo che se siamo destinati a qualcosa, sarà facile, o comunque non così difficile. La vita ci porterà dritta da lei senza tanti intoppi.
Se riceverò un no pazienza! Ci saranno altri progetti per me, altre esperienze.
Sono ingenua? Forse sì, però quanto è bello vivere così, vivere avendo fiducia.».
Abbandonarsi ai ricordi senza paura. Dove è finita quella persona? Perché adesso ha così paura della risposta?
Il messaggio arriva e lo legge. Spinge velocemente l’aria fuori dal naso in uno sbuffo. Posa il telefono e ricomincia a ripetere.
Si vede che doveva andare così, pazienza.
Distante e distratta.
Ti prego, torna come prima.
Il presente la chiama e deve andare. «Almeno adesso non ho più paura» pensa seduta sul divanetto blu della sua biblioteca preferita.
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Melda Mehja