«Dobbiamo salutarci.»
«Dobbiamo per forza?»
Siamo seduti su un muretto in riva al fiume. Il sole sta sorgendo: è quel momento di prima mattina in cui la luce è ancora flebile, sopportabile per l’occhio che si sta aprendo. Il mio non si è mai chiuso. Sono qui seduto da ore in sua compagnia e il tempo sembra non essere passato. Non so bene neppure io di cosa abbiamo parlato, della vita? Di noi? Mi sembra di essere seduto qui, con questa persona, da sempre, di aver detto tutto e niente. Sono perso nel rumore del fiume che si sveglia, nella freschezza pungente dell’aria mattutina. Sto cercando di fissare questo momento il più a lungo possibile, in silenzio, come se parlare ne decretasse un esito e io non voglio che questo arrivi. Chiudo gli occhi e faccio un bel respiro.
Mi guarda.
Sento l’aria nuova attraversarmi il corpo e quella vecchia uscire fuori.
«Tu vuoi salutarmi?» Chiedo.
«Possiamo evitarlo?» Mi risponde.
Ecco ora sono in crisi, mi trovo qui, bloccato tra il possibile e l’impossibile, un passo falso e potrebbe sparire tutto. Devo giocarmi bene ogni secondo. Questo momento ha un sapore misto di ansia e pace. «Posso evitarlo?», mi chiedo. Conosco bene la risposta, ma non voglio vederla. La nascondo nel ramo più remoto dell’albero della mia vita, nella radice che ho più lontana dal mio corpo.
«Facciamo un gioco», mi dice. «Ora prendiamo tre pezzettini di carta a testa e ci scriviamo sopra tre risposte. A turno poi, ciascuno di noi porrà una domanda in silenzio e dovrà pescare la sua risposta dalla mano dell’altra persona.»
Come no, rispondo ridendo.
«Metti che gli astri ti assistano proprio oggi e la risposta che pescherai dalla mia mano sarà proprio quella che stavi cercando. Adesso fai il principino, ma se dovesse essere così ti sbrodoleresti su te stesso.»
Mentre me lo dice, mi lancia tre foglietti. E adesso che risposte dovrei inventarmi, la ricetta della sua cena di domani? Torno a guardare l’acqua. In Kurdistan quando qualcuno sta per mettersi in viaggio, gli si lancia dell’acqua come augurio, «perché l’acqua trova sempre una strada». Decido di scrivere delle risposte che siano come l’acqua, che trovino sempre una strada.
Con la coda dell’occhio vedo la sua manina che si agita. « Quante risposte si possono dare alla stessa domanda… », dice guardandomi. Lo so, penso. Questo gioco è una sfida contro la sorte, soprattutto quando hai paura di rompere una connessione intensa che si è creata in una maniera così spontanea.
«Sei pronto?»
«Certo!», sto fremendo.
Mentre chiudo gli occhi e pongo la mia domanda, una musica arriva da lontano, come se fosse trasportata dalla corrente. Sento che avanza. È dolce. Prendo un bigliettino dalla sua mano, mi alzo e inizio a danzare distratto da questa melodia che mi sembra così familiare. Mi muovo, ondeggio. Mi segue. Danziamo insieme. Siamo linee che si uniscono e si separano.
Stringo il bigliettino.
La mia domanda: «Come faccio a salutarti?»
La sua risposta: «E se ci incontrassimo domani?»
Apro gli occhi.

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A cura di Adele De Pasquale