Se ne stava lì, leggera e fluttuante in quella vastità di buio che da sempre l’aveva circondata, o almeno, da quando lei ne aveva ricordo.
Fluttuava, galleggiando lentamente nel silenzio celeste, in un andamento perpetuo, non lontano da quell’immenso corpo terrestre intorno al quale aveva sempre volteggiato.
Se fosse viva, se fosse bella, se fosse completa o unica, questo lei non se lo era mai chiesto, perchè domande, la Luna, non se le poneva. Girava, esisteva, fluttuava, danzava e brillava, senza quella paura irrazionale di non sapere chi si è, quella paura che provano coloro che di notte, alla finestra, malinconici, la guardano.
Lei lo sa che la vita è breve, che i corpi celesti arrivano inaspettati e che tutto dura quel che deve durare, nel bene e nel male. E così lei, la Luna, esisteva nel cielo, come esistiamo noi sulla Terra, senza però la paura di invecchiare, senza la pesantezza del decidere sul proprio avvenire, senza il macigno che si posa sul cuore in certe occasioni portando il buio dentro. Lei il buio ce lo aveva intorno e per questa unica ragione brillava. Brillava con tutta la forza che aveva, quasi fosse la sua unica ragione di esistenza. Brillare e fluttuare, fluttuare e brillare, e la Luna era felice, se felice si può essere nel godere di quel che si ha, qualunque cosa essa sia.Cullata da moti celesti che noi non possiamo neanche immaginare, senza un destino ultimo o predestinazione, la Luna esisteva e questo le bastava, perché la verità è che il suo senso lei non lo andava cercando; a cercare un senso erano coloro che la contemplavano, mentre lei se ne stava beata in cielo, avvolta dall’immensità.
Mishel Mantilla
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