La tabaccaia di Federico Fellini nel quartiere dormitorio

«Un giorno, al ristorante, mentre scribacchiavo disegnini sul tovagliolo, è venuta fuori la parola ‘Amarcord’. Amarcord: una paroletta bizzarra, un carillon, una capriola fonetica, la marca di un aperitivo, anche, perché no? Una parola che nella sua stravaganza potesse diventare la sintesi di un modo di sentire e di pensare contraddittorio. Mi sembrava che il film che volevo fare rappresentasse proprio questo: la necessità di una separazione da qualcosa che ti è appartenuta, che ti ha condizionato, dove tutto si confonde emozionalmente, un passato che non deve avvelenarci, e che perciò è necessario liberare da ombre, grovigli, un passato da assimilare per vivere più consapevoli il presente

Così Federico Fellini racconta la nascita del titolo del suo film Amarcord, uscito nel 1973 e ambientato negli anni Trenta, quando il fascismo aveva ormai raggiunto tutta Italia. Fellini, assieme al poeta Tonino Guerra, rappresenta scene di vita quotidiana della periferia di Rimini, rappresentazione di una qualsiasi provincia italiana negli anni del fascismo. Ma il film non descrive solamente un quadro storico del periodo. Fellini ha in mente altro: «La provincia di Amarcord è quella dove tutti siamo riconoscibili, nell’ignoranza che ci confonde. Quello che mi interessa è la maniera, psicologica ed emotiva, di essere fascisti: una sorta di arresto alla fase dell’adolescenza. È forse per questo che quando la crescita si risolve in un’evoluzione delusa, il fascismo può perfino sembrare un’alternativa alla delusione, una specie di sgangherata riscossa». Fellini vedeva nelle premesse – e nelle promesse – del fascismo la mancanza di voler approfondire il proprio rapporto con la vita, per comodità, pregiudizio e presunzione. Veniva facile affermare le proprie convinzioni con la mania di grandezza e la riluttanza verso l’informazione, evitando invece di scavare nel profondo, anche attraverso la cultura.

La chiusura della mentalità provinciale e il senso di isolamento tipica della vita nei piccoli centri si ritrova anche nella realtà in cui siamo costretti a vivere in questo periodo, lontani da teatri, ambienti universitari, cinema, spazi in cui è impossibile il confronto, fino a rinchiuderci nelle nostre convinzioni nutrite solamente da input raccolti dietro a uno schermo. 

Sotto il sole cocente di agosto 2020, per le strade di una città di provincia, c’è stato qualcuno che ha portato le riprese e gli attori fuori dalle mura del cinema, facendo tesoro delle parole di Fellini stesso. A Settimo Torinese, a pochi chilometri da Torino, un gruppo di giovani ha dato vita a un cortometraggio tra le vie del Villaggio Fiat, quartiere costruito negli Anni Sessanta e Settanta per gli operai torinesi. Fabio Fontana, classe ’99, è riuscito a proporre il cinema di Federico Fellini anche nella periferia, coinvolgendo alcuni suoi amici del quartiere. È nato così il cortometraggio La tabaccaia di Federico Fellini nel quartiere dormitorio, vincitore dell’International Tour Film Festival 2020 – Cento volte Fellini, in occasione del centenario della nascita del regista. Gli amici di Fontana si sono prestati al cinema. Niente di così strano, se si pensa che il Maestro scelse proprio una non-attrice per il personaggio della Tabaccaia.

Perché la scelta del personaggio della Tabaccaia? «Un maglioncino, una gonna abbastanza lunga, scarpe Anni Trenta e un fazzoletto in testa, ed era fatta. Serviva sicuramente una donna dalle curve generose, e Giada [Giada Pappalardo, la Tabaccaia ndr] ha accettato la mia proposta. Il 7 agosto girava per le vie con il golfino di lana e il trucco perfetto».

Il lavoro si è rivelato una fusione tra elementi del passato e di oggi, in un immaginario ponte tra le periferie dell’epoca e le nostre periferie. «Non avendo la possibilità di avere microfoni e strumenti tecnici adatti, io e Mala [Alessandro Malabaila, direttore della fotografia e operatore di macchina, ndr] abbiamo pensato che gli oggetti in scena servissero per descrivere l’ambientazione. Nonostante il bianco e nero, non avevamo la presunzione di ricostruire un’Italia degli anni Trenta, l’obiettivo era quello di ridipingere la realtà di oggi in chiave felliniana, da amanti del cinema».

Fabio e alcuni suoi amici hanno anche dato il via a CineFiat, il cineforum della città in cui propongono alcuni titoli che hanno fatto la storia del cinema. «I ragazzi di periferia spesso non sono neanche incentivati a spendere dei soldi per andare al cinema. In futuro bisogna costruire punti di incontro in cui ci sia l’occasione per vedere e discutere di film, creando luoghi di riferimento sul territorio». 
Come uno dei protagonisti del corto insegue curioso e desideroso la Tabaccaia, così anche i ragazzi del quartiere inseguono un sogno, un ideale forte, che li porta ad agire sul territorio nel concreto per avvicinare più persone possibili alla settima arte e, al medesimo tempo, a una crescita che non lascia delusi.

Marta Schiavone

© Credit immagini: Courtesy Fabio Fontana + link + link

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