Tramonti

Le sue mattine trascorrevano nella solita routine universitaria, tra una lezione e l’altra, tra una pausa caffè e qualche commento sul compagno carino del corso di francese, quello dalla voce calda e dal particolare profumo di caffè tostato che lasciava quando camminava in corridoio. 

I pomeriggi invece erano quasi sempre dedicati a ordinare gli appunti al computer nel diligente silenzio della biblioteca, al solito primo tavolo accanto alla reception, quello vicino ai libri antichi, poco frequentato dagli altri studenti per via della poca luce. Eppure, seduta tra i Grandi della Letteratura e della Filosofia, in quel luogo lei trovava spesso l’ispirazione per trascrivere qualche idea per il corso di drammaturgia. 

Ma era di solito verso le sei del pomeriggio che cominciava ad apprezzare le sue giornate, quando il lento calare del sole amplificava l’affascinante brusio delle persone che si affrettano a intraprendere la via di casa. Nel suo caso, ad attenderla con una leggera pioggia di fiori c’era – da sempre – quel bell’albero in giardino, che con il fruscio dei suoi rami pareva sussurrare il suo nome ogni volta che lei rientrava. 

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Lei amava intensamente quella fascia di tempo in cui il mondo si trasforma da fermento diurno a distensione serale. Il tramonto era decisamente il suo momento preferito della giornata. Per questo motivo, nonostante un’iniziale timidezza, aveva trovato il coraggio di parlare, una volta a settimana, con qualche sconosciuto del bar dell’angolo. La missione consisteva nel chiedere a qualcuno di raccontarle dei colori del tramonto di quel giorno, delle ombre sui palazzi e dell’apparire improvviso della luna in cielo; insomma: di essere i suoi occhi. Alcuni rimanevano spiazzati da una tale richiesta; altri, di fronte agli occhiali neri e al bastone, s’imbarazzavano; altri ancora non sapevano come rispondere e non si erano mai posti il problema di descrivere l’immagine di un tramonto di tutti i giorni. Tra stupore, risate e un po’ di imbarazzo, qualcuno di tanto in tanto si prestava a raccontarle del giallo che diventa arancione e della sfera incandescente che dolcemente scompare tra la silhouette dei grattacieli; qualcuno narrava del volo degli uccelli che anticipa il calare della sera e del rosa che inonda la città; qualcun altro riportava semplicemente il sole che scendeva e la luna che saliva, mentre altri descrivevano il luccichio di un romantico sole morente che dava il suo ultimo addio alle finestre dei palazzi; qualcun altro, nel descrivere le gradazioni di colori, favoleggiava su un certo blu notte malinconico, dalla tonalità confortante, con a tratti ombre di quel rosso intenso che l’aveva preceduto. Ogni racconto, ogni tramonto, era sempre diverso e ogni descrizione le lasciava la consapevolezza che la bellezza ha molteplici modi di presentarsi

Mishel Mantilla

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