Contaminazione

Si trattò di una manciata di giorni, 6 per la precisione, 6 volte in cui il sole rincorse la luna, vedendo nel suo percorso la Terra cambiare volto. La trasformazione era avvenuta talmente in fretta che nessuno avrebbe potuto crederci se non l’avesse vissuta sulla propria pelle; si sarebbe potuto pensare si fosse trattato solamente di un sogno, eppure, non si trattava di un sogno, né tantomeno di un incubo: la contaminazione era reale ed era cominciata martedì mattina, alle 8:57 per la precisione. Da quel momento, il cambiamento si era insinuato silenzioso nelle case delle persone, aveva percorso ogni strada principale, ogni vicolo sulla faccia della Terra; aveva contaminato interi quartieri, città, regioni; ignorando il concetto di confine, straripando dalle frontiere nazionali e diffondendosi tra i paesi e i continenti, ricoprendo ogni superficie terrestre. Il cambiamento era irreversibile e ormai nessuno poteva opporsi, tanta era la sua potenza. Nell’andirivieni di quella mattina trafficata, nel caos della moltitudine che a spintoni si faceva strada per andare a compiere le duemila attività imperativamente non rimandabili, in quel momento, alle 8 e 57 di quel martedì, Marco, in giacca e cravatta, coi capelli ben irrigiditi dal gel a lunga tenuta, la barba ben rasata e il telefono incollato alla mano destra, in ritardo per la riunione, Marco – lo stesso Marco che la sera prima aveva saltato il pasto e il sonno per poter finire il progetto sul quale lavorava da anni, quel Marco che non aveva fatto altro, per tutta la vita, che correre come tutti gli altri, in cerca di qualcosa in cui realizzarsi – Marco si fermò. Colto di sorpresa da un raggio di sole che scaldava delicatamente la sua guancia, Marco si rese conto dell’intensità del blu che quella mattina colorava il cielo, della quantità di persone che intorno a lui camminavano con gli occhi fissi sui piccoli schermi portatili e dell’assurdità di tanta pressione di prima mattina. Fu allora che Marco decise di respirare, sciogliere un po’ il nodo della cravatta e fermare il primo passante che gli capitò davanti per dirgli, semplicemente, in un atto di estremo coraggio: “Buongiorno!”, accompagnato da uno dei doni più rari e in disuso negli ultimi tempi, un sorriso. Da allora l’impatto di quel sorriso si estese sul signore che ricevette il sorriso, che lo trasmise al passante successivo, che fece la stessa cosa col conduttore dell’autobus, che lo imitò col vicino di casa, che fece lo stesso con il figlio, che fece lo stesso con i compagni, che fecero lo stesso con le maestre e i bidelli, che riportarono i sorrisi per le strade, dove altri passanti vennero contaminati, sorridendo alle persone incontrate in metropolitana, dietro l’angolo, in aeroporto, viaggiando senza sosta e senza risparmiare nessuno.  La gentilezza è molto contagiosa. Chi l’avrebbe mai detto?

Mishel Mantilla

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