Ribellione in metropolitana

Preferisci ascoltare come va a finire? Ne abbiamo parlato nel podcast che trovi in fondo all’articolo!

Avevo le cuffie alle orecchie quella mattina, musica a basso volume; in mezzo a una moltitudine di assonnati che, come me, guardavano l’orologio a ogni apertura della porta della metropolitana. Tra una gomitata e uno spintone, cercavo di rimanere indifferente al dolore del mio braccio che a stento, piegato contro di me, riusciva a reggere il libro. Lo spazio per respirare era stretto, compatto e sapeva di un profumo troppo forte per le mie narici, quello della signora accanto. La voce registrata all’altoparlante ripeteva il nome delle fermate, una dopo l’altra, aumentando l’esasperazione delle persone in ritardo. Ma tra una fermata e l’altra, senza quasi che me ne rendessi conto, la mia playlist era improvvisamente cambiata, il volume alle mie orecchie era aumentato e un motivetto incalzante cominciava a far muovere timidamente il mio piede a ritmo di 1 e 2 e 3 e 4. Senza un perché, la mia spalla cominciava a oscillare in avanti ogni 2 e 4 e la mia testa, senza che potessi controllarla, si inclinava a destra e a sinistra, mentre le mie dita tamburellavano sulla copertina del libro, che resse poco a tutto quel movimento.

musica

In una manciata di secondi tutto il mio corpo venne invaso dalla musica e fu impossibile resistere: la mia schiena si liberò dello zaino, le mie mani del libro e le mie anche pretesero più spazio per poter scuotere il mio sedere con una grazia mai vista prima di quel momento. Le mie braccia ondeggiavano libere intorno a me e tutto il mio tronco era un su e giù in accelerazione. Non potevo farci niente: stavo convulsamente ballando in quello stretto spazio dal sapore di shampoo e ansia. La canzone alle mie orecchie mi costringeva a continuare, il mio corpo era incontrollabile. I capelli andavano addosso alle persone dietro di me, le gambe si scontravano con i piedi di quelli seduti davanti a me, il bacino andava in cerca di altri bacini da salutare scherzosamente e le mani cercavano forse una via di uscita dalla metropolitana. L’irresistibile assurda danza che quella musica aveva provocato mi rendeva succube di movimenti non miei e suscitava nelle persone un senso di disgusto, fastidio e confusione. Tuttavia, la canzone durò solo 2 minuti e 10 secondi, dopo i quali riuscii a riprendere il controllo dei miei arti e a fermarmi, liberandomi dall’incantesimo della libertà e tornando, con immenso imbarazzo, all’immobilità. 

Mishel Mantilla 

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