Che idea bizzarra. Un corso di pasticceria professionalizzante. E, soprattutto, un diario bimensile che ne racconti gli sviluppi. Consapevole che ai più magari nemmeno interessi, ma convintamente speranzosa che qualcun* a leggermi ci sia, che abbia voglia di seguirmi in questo implacato desiderio di mescere uova e farina per tutte le sere della settimana da qui a febbraio.
Non so spiegarmi bene dove sia nata, questa passione per il cucinare, per l’impastare, il pirlare, il soffriggere, lo sbattere e l’infornare. Se dovessi ricondurlo a una causa primigenia, direi dall’eredità familiare: un assemblage di cultori del cibo (rigorosamente maschi in primis) e di cuoche mai improvvisate, sempre riuscite (patriarcato comandi, ben più frequentemente donne). Incontri canonici intorno a un tavolo, in tant*, tantissim*, per ore, mangiando cose buonissime e golose. Occasioni che si ripetono tuttora, Natale e Pasqua tappe fisse com’è stereotipicamente italiano.

Mi sorprendeva sempre quando, da piccola e poi adolescente, invitando qualche amicizia a casa, questa si meravigliasse del fatto che giammai ci fossero ‘cibi pronti’ in tavola o nella dispensa, piuttosto una torta ciambella fatta di uova e farina ancora tiepida ad attenderci a merenda, quella marmorizzata della mamma nella top 10 delle cose che più, ancora oggi, mi sanno di casa. Con mia madre che si era presa la briga di cucinarla in fretta e furia, tra il lavoro e le sue cento vasche in piscina, solo perché “se hai l’amica avete la merenda”. A casa dopo scuola, con la nostra torta golosa, giocando alle Barbie.

Forse perché il cibo rappresenta da sempre un elemento fondativo nel mio giro di parenti; forse perché, crescendo, ho imparato che, anche con poco, si possono mettere insieme pietanze maestre e buone, che riempiono il cuore oltre che lo stomaco; forse per tutti i corsi amatoriali che mi hanno portata, da presto, a volermici mettere nello studio di questa (non tanto oscura) materia che è ‘la cucina italiana’; forse perché, negli anni, cucinare è diventato il mio terreno preferito di sperimentazione hobbistica, uno strumento per evolvere come individua, e il mio linguaggio dell’amore con le persone a cui voglio bene.

Forse per tutte queste cose insieme o per nessuna di esse, ma solo perché nella vita non si smette mai di voler imparare, che ho deciso di iniziare questa avventura.
Avendo un lavoro, che pure mi piace. Con della gente, che pure amo. Ma, ciò nonostante, con l’energia di una brezza autentica di primavera; di un vento leggero che sa di novità. Con la gioia di una bambina che si allaccia il tovagliolo intravedendo dalla porta della cucina la mamma, in arrivo con le penne al taleggio…
Ci proverò, di settimana in settimana, strada facendo, a tediarvi raccontandovi delle mie scoperte, e della poesia che è la magnifica arte della pasticceria.
Vento in poppa, si parte!
Gaia Bugamelli