Terra.
Nel buio della stanza lui sbadigliò: un lento e profondo sospiro ad inghiottire quanta più aria
possibile, in uno dei sempre più rari momenti di quiete tra una vampata e l’altra.
Lei in pace a riposare per qualche attimo, minuto, ora, chissà, su quel divano rosso, Morfeo,
tanto desiderato ed ora agghindato per l’occasione.
Distesa come una leonessa nella calura della savana africana, vestita solamente della sua
natura di donna, di madre, in totale comunione con la terra, con lo spirito atavico di madre
natura.
Nell’attesa della prossima fiamma.
Fuoco.
Come un fulmine che si schianta sulla radura secca e riarsa, così si accese la fiamma
successiva.
Un dolore profondo, un fuoco rapido, furibondo, indomabile, violento a tal punto da farla
vacillare, da condurla verso lo sfinimento, al confine estremo che segna la frontiera della
volontà tra cedere e resistere.
Lui restava lì, accanto a Lei, osservandola contorcersi tra le fiamme, affaticato dal pensiero di
non poterla trascinare lontano da quel calore.
Tuttavia decise con fermezza che anche le sue mani si sarebbero in qualche modo bruciate
insieme a quelle di Lei e le immerse risolutamente nella vampa del suo dolore.
Aria.
Nel silenzio un unico suono, antico, ancestrale, voce della più profonda anima della madre
terra.
Un suono dapprima roco, gutturale, viscerale; acuto, eccessivo, liberatorio, catartico poi.
Il suono che accompagnava la fiamma, la paura, lo spasimo pulsante del momento.
Infine il suono del respiro di Lei: cadenzato, ritmico, rallentato dalla consapevolezza rediviva
del qui ed ora, dell’improvviso mutarsi del fuoco distruttore in una devastante fiammata di
felicità.
Acqua.
Da quel rumore scrosciante, così simile ad una piccola cascata che si tuffa in un laghetto,
erano passate ore.
Un tempo sembrato infinito, ma che ora rendeva il senso ad una condizione mutata, stravolta:
Lui non fu più solo Lui; Lei non fu più solo Lei. Da quel momento divennero Loro!
Due stelle si erano staccate da quel Van Gogh posticcio appeso alla parete, che li aveva
osservati per tutta la notte, e si erano accese su quel divano rosso fuoco negli occhi corvini di
quel micetto madido che ora tenevano tra le braccia.
Il fuoco fu spento, lasciando il posto alla cascata delle loro lacrime possedute da una felicità
mai provata in passato.
L’orologio segnava l’1:11.
