Prescrivere libri

Quando ero piccola, mia madre passava interi pomeriggi a sfogliare, sotto i miei occhi, un’infinità di libri – oggetti parlanti dagli inesauribili tesori. Ricordo un pop-up sugli insetti: dalle pagine si spiegavano le ali di api, mosche, libellule e, alla fine, prendevano il volo tante farfalle azzurre. Con pazienza, mia madre ha costruito in me l’abitudine alla lettura e, insieme, ha coltivato i germogli della mia vita interiore. Leggere infatti si è spesso rivelato il filo sottile che mi ha tenuta agganciata al mondo, impedendomi di volare via e di scoppiare in un punto impreciso della troposfera: quando fra le trame del mio perpetuo rimuginio si struttura qualche malessere, parallelamente si delinea, fra le mie letture, un vero e proprio genere letterario costituito da alcuni titoli che si prendono cura della parte di me più sofferente. 

Non sono di certo la prima fra gli esseri umani a costruire una farmacia libresca: nell’antico Egitto, la lettura di molti testi era indicata per curare malattie fisiche o per favorire il benessere spirituale; per gli antichi Greci e Latini, i testi filosofici erano un passaggio obbligato per coltivare saggezza e autocontrollo, così da apparire saldi nell’affrontare le varie situazioni della vita. Oggi la biblioterapia è una pratica sempre più diffusa in contesti clinici, educativi e sociali: in ambito psicologico, si parla di “biblioterapia attiva” se la lettura di un libro è suggerita dal terapeuta; è detta “passiva” se invece il lettore o la lettrice si avvicinano autonomamente a un testo che si rivela utile nella loro esplorazione emotiva. 

Da qualche anno lavoro in una libreria e vivo sempre con agitazione (emozione? paura di sbagliare? ansia da prestazione? davvero non lo so) il momento in cui i clienti mi chiedono consiglio nella ricerca del libro giusto. Le loro richieste mi sembrano fragili rompicapi: la signora A. vuole romanzi storici ambientati nel primo dopoguerra ma attenzione: non voglio leggere di bambini che soffrono! Il signor P. cerca un libro per la sua mamma, ormai anziana, che deve divertirsi e vagare lontana con la mente – ah, mi raccomando: che ci siano degli animali! La signora D. vuole un libro per soffrire: qualcosa alla Moshfegh o Han Kang per favore, voglio stare male. Così, con i loro pesantissimi sguardi posati su di me a misurare ogni mia parola e ogni copertina, ci immergiamo negli scaffali e ne riemergiamo stremati, come streghe e stregoni che hanno appena preparato un antico intruglio magico per guarire cuori spezzati.

A volte, mentre leggo e lecco le mie piccole ferite, mi chiedo se sia io a frugare fra le pagine di un libro alla disperata ricerca del senso delle cose o se sia lui, il libro, a frugare dentro di me, a scombinare i miei pensieri e dar loro una nuova disposizione. Ad esempio, penso che nel mio kit letterario di emergenza ritroverei sicuramente Siddharta, perché mi ha insegnato che non è possibile stare solo nella propria testa o solo nel proprio corpo, e che i momenti più critici e dolorosi sono da accogliere senza estenuanti resistenze: a volte il modo per superare una sofferenza è permetterle di attraversarci, di condurci in zone inesplorate della nostra mente. Forse è proprio questo uno degli obiettivi della biblioterapia: trovare il modo di stare dentro di sé, ma in buona compagnia.

Benedetta Follini