Della nostra storia ho subito amato i libri e i film che ne facevano parte: io ti prestavo la mia raccolta preferita di Carver, tu scaricavi Santa Maradona per la serata.
Saltavamo da un discorso all’altro e stavamo in silenzio solo quando ci sdraiavamo sul letto a leggere, con la mia testa incastrata nell’incavo tra la tua spalla e il tuo collo: tenevi tra le mani un pezzo della mia vita che ti avevo prestato, Le transizioni di Pajtim Statovci, e amavo la passione con cui lo leggevi, la curiosità per le tradizioni, lo sgomento per quella storia che mi apparteneva. Io leggevo Shantaram e divoravo le pagine come chi sogna di viaggiare, ma non ha i soldi per farlo. Sognavo un’avventura così, tu e io, l’India.
Avevamo fame di storie, fame di sapere tutto l’uno dell’altra, ma quel tutto che non si può raccontare a parole, si può scoprire solo con i silenzi.
Sono stati mesi lenti quelli della nostra frequentazione, siamo stati quasi sempre soli, troppo concentrati sullo scoprirci per aprirci al mondo.
I nostri pomeriggi scorrevano così, stando da soli insieme, ed è forse questo che mi ha fatto innamorare di te: amavo stare da sola e amavo stare con gli altri, ma non sapevo di poter stare da sola con qualcun altro finché non ho conosciuto te.
Mi hai fatto scoprire i Western un pomeriggio in cui hai nominato Terence Hill e io ti ho guardato confusa. Quel pomeriggio hai messo in TV Lo chiamavano Trinità… e mi hai detto che non potevo non averlo mai visto. Non mi è piaciuto, ma tu ridevi e a me piace quando ridi.
Mi sono innamorata di Nanni Moretti con te, guardando Palombella rossa, Caro Diario e Bianca.
Ci siamo conosciuti a parole, attraverso i silenzi e attraverso i libri e i film.
Siamo stati tutte quelle storie, che, pagina dopo pagina, minuto dopo minuto, hanno contribuito a scrivere la nostra storia.
E mi piace guardare indietro ogni tanto e rileggere la nostra storia dall’inizio.
© Credit immagini: Love Story, 1970
Melda Mehja