Il Polo Positivo è anche scrittura collettiva. Una candela profumata, un mazzo di carte, un tessuto di velluto e delle noccioline: cosa ti immagini di scrivere? È iniziato così il nostro momento di scrittura, dove ogni membro dell’associazione ha raccolto immagini e profumi, lasciando scorrere la propria penna sul foglio e condividendo con le altre ciò che aveva scritto.
Una raccolta di alcuni dei testi scritti insieme.
La notte era fredda e soffiava il vento del deserto che scrocchiava il tetto della mia vecchia casa in campagna. Mi avvolgeva una coperta vellutata e soffice sulla quale fluivano i pensieri angusti e scuri. A un tratto una luce abbagliante mi trasportò verso la finestra. Cautamente la aprii. Un fuoco acceso sul colle vicino catturò la mia vista. Esso danzava al ritmo del vento tra un pubblico stanco e dormiente. Respirai. Un odore soave e dolce di papavero penetrò la mia anima: il ricordo di un’infanzia spensierata scaldò il mio cuore. Chiusi gli occhi, mentre sulla pelle sentivo la notte buia. Ero rigenerata, forse felice per un attimo di illusione.
Jessica Diolaiuti
Il profumo di papavero è quello di mia madre. L’ho preso dal suo mobiletto in bagno, da oggi sarà anche mio, ho pensato. E lo è stato davvero. Non ho mai voluto assomigliare a mia madre. Già eravamo tutte e due bionde, tutte e due con gli occhi azzurri e tutte e due con gli occhiali. Per un periodo anche tutte e due maestre. Ci mancava che avessimo pure lo stesso profumo. Avevo quattordici anni quando me lo sono spruzzata la prima volta sul polso e adesso ogni cosa ha quello stesso odore: le magliette, le scarpe, i cappotti e i maglioni. A occhi chiusi, posso ancora sentire la voce di mia madre. Grida. Continua ininterrotta, prima di uscire di casa. Si spruzza il papavero e parla. Le sue parole finiscono con la chiusura della porta e con lo strascico del profumo che l’accompagna. Non ho mai smesso di metterlo. Non ho mai smesso di sentirlo nell’aria quando la porta sbatte.
Federica Mangano

novembre ’23
Come un gomitolo, passo di mano in mano. Il mio passaggio non è indifferente, chi lo riceve si aggrappa ad un estremo e lo custodisce, non lo lascia scappare. Così è la nostra rete, che si allarga e raggiunge sempre luoghi inesplorati e persone sconosciute. La nostra rete è solida ma sa adattarsi al tempo che la attraversa. Oltrepassa le distanze per tenerci uniti nella ricerca di bellezza.
Silvia D’Ambrosio
Era come un rito per me. La sera dopo cena, mio nonno era solito prendere e portare a tavola il cestino delle “bagigie” (così le chiamava, comunemente conosciute come arachidi o bagigi). Ricordo che ne mangiava a quintalate. Rompeva il guscio, levava la pelliccina rossiccia e porgeva il seme a me e mia sorella. Ogni volta ci diceva «se aprendo la “bagigia”, trovate la barba del frate felice, vi accadrà qualcosa di bello». Ed è così passavamo le serate dai nonni: a dividere montagne di arachidi soltanto per scovare “frate felice”. Che poi alla fine a me non piacevano nemmeno le arachidi.
Virginia Galizia
Ovunque io sia nel mondo, i libri mi riportano sempre a casa. Alla sottile dimensione del vicino a me, del mio spazio inespugnabile, personale, privato. Di un confine all’interno del quale avere a che fare con gli input presi da fuori, con gli stimoli del mondo che abito e che vado scoprendo di giorno in giorno. I libri mi spalancano le porte su un mondo lontanissimo dal mio nido domestico, universi che non avrò mai modo di esplorare nella circoscrizione degli anni che ancora vivrò, e che così ho la possibilità di figurarmi nella mente per mezzo degli occhi di chi ha raccolto per conto mio. Facendomi questo regalo di relativizzazione immenso.
Gaia Bugamelli