Per la maggior parte dei suoi giorni l’essere umano ciondola tra le normali incombenze della vita; incombenze che si susseguono sempre uguali ogni giorno: prendere il treno per andare al lavoro, preparare il pranzo, la cena, andare in palestra, rispondere alle mail.
Le normali incombenze talvolta – e se si è fortunati diverse volte nell’arco di una vita – vengono sostituite da fatti completamente straordinari che, per loro straordinaria natura, si presentano in maniera del tutto inaspettata, fulminea, repentina e oltre ogni modo meravigliosa.
Joyce chiamava questi momenti epifanie, prendendo in prestito l’etimologia greca della parola: «manifestazione del divino».

Nella mia vita ho vissuto alcuni di questi momenti di “realizzazione”, momenti difficili da descrivere a parole, ma caratterizzati tutti da un pensiero comune che arrivava improvviso nella mia testa “ecco, ecco per cosa vale la pena vivere”. Durante queste epifanie il tempo mi è parso dilatarsi moltissimo e le cose intorno a me sembravano scorrere più lentamente, ma con un’incredibile intensità.
La prima volta in cui mi sono trovata nel bel mezzo di un’epifania ero molto lontana da casa. Per la precisione a 9.636,8 km dall’Italia. Mi trovavo su una barchetta in mezzo al Lago di Manda, tra Tanzania e Malawi, da una quantità infinita di ore. Dopo un tramonto da togliere il fiato – ad oggi, 7 anni dopo, ancora il più bello che io abbia visto – è calato il buio. Un buio così buio in natura non l’ho mai più incontrato; allo stesso modo non ho mai più visto un cielo così stellato. Un tappeto costellato di stelle luminosissime. Ricordo di essermi sentita un puntino in quel momento, sotto a quel cielo incredibile, un puntino minuscolo e ricolmo di gratitudine.

Una volta provata, un’emozione così, se ti capita di nuovo, la riconosci immediatamente. Non c’è margine d’errore: “gratitudine per la vita”.
Lo scorso anno, alla fine di un interrail lungo 12 giorni, su e giù per il Portogallo, l’Oceano Atlantico mi ha regalato un altro momento di realizzazione: c’era bassa marea, le onde si muovevano lente e con un ritmo sempre identico, il cielo era rosa e l’acqua pure, nessuno in spiaggia e nell’aria quella condensa tipicamente portoghese che sfuma i contorni di ogni cosa. Sono rimasta seduta su uno scoglio in silenzio, circondata solamente dal rumore potentissimo delle onde e consapevole di essere al centro di uno spettacolo della natura.

Raccontando questi due momenti mi accorgo che forse per me le epifanie hanno sempre a che fare con il sentirsi piccoli in un mondo tanto più grande di noi; con la consapevolezza che, per quanto ci impegniamo ad essere protagonisti delle nostre vite, registi attivi e non semplici comparse, alla fine i veri momenti che generano puro e genuino stupore sono del tutto inaspettati, appaiono come manifestazioni del divino.
Barbara Talarico
Credit photo: Courtesy of Barbara Talarico