Manifesto ergo sum

«Poter fare attivismo, trovare una famiglia politica e non solo.– è la risposta che ci dà Camilla quando le chiediamo cosa la faccia sentire viva. Una risposta che probabilmente ci darebbe una gran parte della comunità LGBTQIA, di cui Camilla è una delle portavoce nel contesto torinese. – C’è un momento in cui ti senti libera di essere e manifestarti solo per come sei veramente, senza dover badare all’opinione altrui. Questo è vivere. Io ho avuto la possibilità di farlo già nella mia città natale in Sicilia, ma scoprire Torino, anche da questo punto di vista, è stato ancora più potente. Mi ha dato la possibilità, non solo di presentarmi per come fieramente sono, ma di farlo collettivamente, con tante e tanti altri, insieme. Questa è la forza più grande che abbiamo come comunità.» continua Camilla, spiegando che anche in città grandi e moderne come Torino non è sempre scontato trovare degli spazi sicuri e accoglienti per le persone della comunità lgbtqia e che, anche nel quartiere dove vive ora, non è certo un’eccezione subire un insulto omobilesbotransfobico camminando per strada.

Viviamo nel Bel Paese dove non riconosciamo diritti di base come l’essere e l’amare, costruire una famiglia secondo i dettami del proprio affetto e non di un modello definito e statico. Aggressioni a scuola, all’università, a lavoro, e persino da chi ci dovrebbe tutelare più di chiunque altro: il nostro Stato. Qui, per meri motivi ideologici, non approviamo un disegno di legge a tutela di categorie discriminate e vittime di violenze fisiche e verbali, ci spingiamo addirittura a minacciare e impugnare decine di atti di nascita distruggendo intere famiglie solo perchè non sono sacre come quella che piace ai più. Per fortuna tutto questo non accade nel silenzio della comunità civile. C’è un’Italia che non è complice della discriminazione di Stato, è l’Italia che scende in piazza, è l’Italia che non si gira dall’altra parte.


In un Paese che sui diritti civili sembra marciare al contrario, trovarsi e unirsi è uno strumento di lotta indispensabile. Si riempiono e bloccando le città con i propri corpi, la nostra pacifica ‘’arma’’, per urlare che esistiamo, così decisi, colorati e arrabbiati, come ci vedono i passanti o gli osservatori dalle finestre dei palazzoni.  
Non è un caso che il Pride sia una delle manifestazioni sui temi civili e sociali che riscuote un maggior successo per numero di adesioni e manifestanti. Solo a Torino, in un torrido sabato di metà giugno, c’erano più di 15000 persone che speravano in un Paese più inclusivo e aperto. Famiglie, giovani, anziani, bambini: un Pride di tutti e per tutti.


«Il Pride ha ancora senso, certamente, al contrario di quello che tanti provano a insinuare. Le persone hanno bisogno di momenti così, è una necessità direi quasi fisiologica per chi vive ogni giorno nella paura, nella discriminazione e nell’umiliazione. Siamo una comunità sempre più grande ma sempre meno considerata: ora con il governo Meloni farci sentire sempre maggiormente diventa fondamentale. I diritti, ancora troppo pochi, che ci siamo guadagnati dei decenni passati sono frutto di lotte tenaci e ambiziose. Spero che un giorno non servirà nemmeno più organizzare i Pride, spero che non servirà perchè non avremo più nulla di cui lamentarci e spaventarci. Quel giorno, chissà se arriverà davvero, continueremo comunque a trovarci con le nostre bandiere, in un nuovo Pride celebrativo e di memoria, perchè dobbiamo sempre pensare che i diritti conquistati si possono, purtroppo, anche riperdere… e noi saremo là, attenti, a non farceli più strappare».

Beatrice Sofia Urso

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