“Ci sarà pure un posto dove dormire, nel paese delle Meraviglie”
(La grammatica di Dio, Stefano Benni)
Alice guarda l’orizzonte e pensa che il mondo dovrebbe girare un po’ più veloce di così. Non riesce proprio a immaginare quel buffo figuro che tremila anni fa ha deciso di far durare il sole per ben dodici ore. Alice non odia il sole, ma pensa che se ci fosse meno giorno allora tutti quanti tornerebbero a casa prima, e potremmo convivere di meno con la vita per ruzzolare comodi comodi nei loro sogni volanti.
Alice vede il Bianconiglio avvicinarsi col suo orologio brillante per dirle che è tempo che lei torni a casa. Si riveste con tanta fretta che lascia alcuni vestiti sul letto arruffato, perché sa che il sonno a volte è più veloce delle sue dolci caramelle. Alice vuole andare a dormire da sola quando riesce e detesta lavorare gratuitamente di notte. Nessuno dovrebbe lavorare di notte, si dice.
Alice nota che il portone dell’uscita è sempre più piccolo di lei da lontano, ma quando si avvicina diventa tanto grande da dover mangiare subito una caramella per diventare grande quanto lui. Quando esce il freddo la copre dappertutto come una coperta di ghiaccio e il profumo dei fiori le pizzica tutto il nasino da cui cola marmellata. Alice si pente di aver dimenticato le mutandine sul letto, e ingoia altre due caramelle per sciogliere la neve e togliersi quel sapore dalla bocca. Non le è mai piaciuta la marmellata.
Alice ha l’impressione di non respirare tanta è l’acqua che la inzuppa. Nuota lentamente nella pioggia scura e fitta, così scura e così fitta che le fa sentire i fischi di alcuni Uccellini sull’isolotto creatosi nel mare di fango, ed è così distratta e bagnata che non sa più quali siano le sue lacrime e quali quelle delle nuvole. Si ferma sotto una banchina per asciugarsi un pochino, ma la banchina è piccola, così piccola che la Lucertola Bill si fa da parte per far stare la ragazzina, che però corre via il più velocemente possibile, con i piedini che quasi scodinzolano come code nel mare. Alice non è abituata ai gesti gentili, e nessuno le ha mai insegnato a ringraziare.
Alice sale su un lungo battello a vapore che sbuffa nelle strade invase di acqua grigia. Il fumo è talmente torbido e denso che quasi lo scambia per uno dei grossi nuvoloni in cielo. Alice non risponde al vecchio Brucaliffo che le chiede sogghignando quale sia il nome di una così graziosa bambina, perché la mamma le ha insegnato a non parlare con gli sconosciuti. Nemmeno a quelli a cui ha dato un nome.
Alice si sente troppo piccola per essere una bambina della sua età, e corre in un vecchio negozietto di caramelle per imparare a crescere in fretta. Quei profumati dolciumi la viziano e la abbracciano, e tutto sembra più bello e meno grande una volta mangiati. Alice è così contenta che non si preoccupa di vedere rane e pesci nuotare nella buca della posta piena di lettere di sua mamma.
Alice detesta la vista della grassa Duchessa col suo bambino lagnante davanti al portone d’ingresso. La vede entrare nel suo appartamento al primo piano con la grande gonna e le occhiaie gonfie sotto gli occhi bruni, mentre imbocca il bambino con un grosso biberon dal colore nero. Alice non pensa che dentro la bottiglietta scura ci sia latte, ma d’altronde gli hanno sempre detto che non è bene farsi gli affari degli altri. E poi lei quel bambino lo odia. Forse lo odia più di se stessa.
Alice crede che se ci fosse un ascensore la sua vita sarebbe più semplice, perché quando sale le scale non sa mai quale direzione prendere. Un piccolo Stregatto la guarda sorridente – “che buffo”, pensa, “i gatti non dovrebbero saper sorridere” -, quasi le chiedesse quale via volesse prendere. Ma Alice non ha mai saputo quale direzione fosse quella giusta, e lascia che il gattino sparisca tra i suoi rimpianti.
Alice non sapeva di avere ospiti in piena notte, ma l’unica cosa che le ha insegnato la vita è che le sorprese sono sempre dietro la porta della propria casa. Il Cappellaio Matto, la Lepre Marzolina e il Ghiro la aspettano mentre bevono un dolce thè al tavolino, e offrono anche a lei una tazza fumante. Alice sa che dovrà berlo tutto d’un fiato per fare sogni tranquilli, e ascolta la canzoncina del Cappellaio per addormentarsi.
Ma Alice sfuria Grida Salta Graffia Alice piange Corre Sbuffa Strappa Alice è nuda Taglia Strilla Scaglia Alice sogna Sogna e non dorme Sogna e si rifugia.
Alice non ha mai saputo dormire dopo la ninna nanna, perché ha troppa paura degli incubi che la rincorrono per la stanza. Dipinge con un piccolo rossetto le rose bianche lasciate dal Cappellaio, e le fa diventare tutte rosse per dar colore alla stanza piena di carte da gioco sul pavimento. Le raccoglie attentamente per metterle in ordine, e fa un solitario per mandare giù la lunga notte. Alice non è mai stata brava in matematica, ma si rende conto che manca una carta all’appello. Forse perché è lei la Regina di Cuori.
O forse Alice sta solo perdendo la testa.
Alice bussa sempre più forte alla porta della Duchessa, e si stringe a lei forte forte per non cadere nei propri sogni. Un vecchio Grifone russa sul divano della donna, e quando apre gli occhi le sue piume si rizzano e il suo becco sembra sorridere alla vista di una nuova bella bambina. Alice non si accorge che il neonato lagnante ha smesso di piangere, o comunque finge di non accorgersene. D’altronde la Duchessa è l’unica amica che ha.
Alice sa che fa sempre troppo per gli altri e troppo poco per se stessa, per questo segue il vecchio Grifone dalla Finta Tartaruga. La Finta Tartaruga è un locale pieno di parole ma vuoto di idee, e Alice scende giù in una lunga cantina che odora di zuppa e pesce morto. Ma non è pesce, e tutto a un tratto la porta si chiude di scatto, e Alice deve scendere, “Scendi!” le dicono, ma rimane ferma per qualche secondo quando arriva in fondo alla cantina. Non è pesce, né rana, né gatto o uccellini. Alice non ha mai visto del sangue che non sia suo e ben presto si sente stretta forte dagli artigli del Grifone, e tutto a un tratto pensa che avrebbe tanto voluto leggere una lettera della sua mamma. Chissà se gli incubi sono più leggeri ricordandosi della propria mamma. E si domanda che volto abbia adesso, e se lei riconoscerebbe il suo volto ora.
Alice guarda il muro grigio e pensa che la luna dovrebbe correre più svelta di così. Ora pensa a quel buffo figuro che tremila anni fa ha deciso di far durare la notte per ben dodici ore. Alice non odia la luna, ma pensa che se ci fosse meno notte allora quel brutto incubo sparirebbe, potrebbe ruzzolare nel suo letto e dormire, o forse no, perché il sole non la accoglie tra le braccia, perché il giorno è come la notte, e oramai nemmeno le stelle sono più sicure. Nemmeno i sogni volano più.
Alice al tribunale non sa che cosa raccontare. Però ricorda qualche favola che le hanno insegnato e ripensa alle belle storie che le narravano prima di dormire nel suo letto comodo comodo, prima di sognare. Alice non sa altro. Non sa altro che le sue storie. Così le racconta.
E tutto attorno a lei il mondo gira più veloce, il Bianconiglio le dà il suo orologio, la grande porta si apre, gli Uccellini la salutano, il Brucaliffo la porta sulle nuvole, i dolci non servono più, la Duchessa le vuole bene, lo Stregatto le dice la via, il Cappellaio Matto, la Lepre Marzolina e il Ghiro le servono il thè, le rose hanno mille colori e il Grifone balla divertito con lei. E vede i suoi personaggi festeggiare insieme e danzare, e vede se stessa in mondi variopinti di mille creature e fantasie. E tutti sognano, felici e contenti.
Ma forse Alice ha solo una grande immaginazione.
Davide Procopio