Una seconda possibilità

Otto mesi fa, Mary, dopo una discussione più accesa del solito, mi ha sbattuto fuori casa, urlandomi di non tornare finché non avessi risolto un po’ di problemi

Bevevo molto all’epoca, anche a colazione. Il lavoro l’avevo perso per uno stupido litigio con un collega, perché sosteneva che non potessi bere nelle pause pranzo, ma io gli ho detto «Amico, io non controllo cosa fai tu nelle tue pause pranzo, quindi tu non mettere il naso in questioni che non ti riguardano». Poi è saltato fuori che queste questioni forse lo riguardavano, perché la settimana prima era stato promosso a vice responsabile dello stabilimento. Lui si è gonfiato tutto per il suo nuovo ruolo e ha fatto il galletto, io non ci ho più visto e gli ho tirato un pugno sul naso. Ha iniziato a colargli un fiume di sangue dal naso e ha fatto una faccia buffissima prima di correre via con una mano sulla faccia, dicendo che non l’avrei passata liscia. Sul momento sono scoppiato a ridere, ma a fine giornata non avevo più un lavoro.

Ecco, Mary non l’ha presa proprio bene questa storia del lavoro, anche se io ho provato a spiegarle che era stato lui a farmi arrabbiare, ma lei non voleva saperne niente, continuava solo a dirmi: «Marco, è il terzo lavoro che perdi in 5 mesi, così non possiamo andare avanti. Hai bisogno di aiuto, devi risolvere i tuoi problemi, non puoi trascinarmi a fondo con te». Poi la discussione è peggiorata e io mi sono trovato senza una casa. 

Ho dormito da amici per qualche settimana, ma anche loro sostenevano che dovessi risolvere i miei problemi.

Un giorno, mentre sorseggiavo una birra al bar e parlavo della mia situazione con il barista, un vecchio si è avvicinato e mi ha detto: «Quello che ti serve è occupare il tuo tempo per non pensare all’alcool, poi il resto verrà da sé».

Credo che questo vecchio non avesse una famiglia, perché mi ha regalato la sua vecchia baracca in campagna e mi ha detto che potevo iniziare da lì, potevo occupare il mio tempo cercando di rimettere in piedi quella catapecchia. 

Sono sei mesi che sono sobrio, la casa non è bellissima, ma posso chiamarla casa. Quando la guardo non mi sembra vero che l’abbia tirata su con le mie mani, però è così. Il vecchio aveva ragione.

La scorsa settimana ho chiamato Mary e le ho chiesto di venire a vedere la casa. Le ho detto che sto meglio, che non bevo più e che mi manca. Lei ha accettato, ha detto che mi ama ancora e che vuole darmi una seconda possibilità.

Sono sicuro che io e Mary potremo ricominciare la nostra vita da qui: svegliarci la mattina con il cinguettio degli uccelli, allevare qualche vacca e qualche gallina, fare lunghe passeggiate tra gli alberi. Staremo lontani dalla città, avremo un giardino pieno di fiori e magari anche un figlio. La sera berremo un tè caldo sul nostro dondolo in giardino e guardando il sole calare penseremo: «Questo sì che è vivere».

Sono sicuro che andrà così. Mary e io ci amiamo ancora.

Immagine: Foto di Liv Cashman su Unsplash

Melda Mehja

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