Il fischio suonava ormai da qualche secondo e sullo schermo la scritta ‘in partenza’ si accingeva a sparire. La speranza di non perdere il treno la spinse a usare tutte le forze in corpo per convincersi a correre più veloce e oltrepassare, quasi volando, le porte in chiusura.
Per un pelo: ce l’aveva fatta per un pelo!
Sudata e senza fiato, trovò posto in una delle ultime file, quelle con i posti da quattro. Che fatica riprendere una respirazione normale e che fatica fingere di non sentirsi morire davanti alla signora che le aveva fatto un leggero sorriso per la sua clamorosa entrata. Guardare i palazzi che le scorrevano davanti agli occhi, dietro il finestrino, sembrava l’unica attività possibile in quel momento, cercando di riprendere fiato.
Una volta calmato il flusso sanguigno e ripreso un colorito normale, il suo sguardo si spostò dal finestrino ai sedili accanto. L’attenzione cadde su un ragazzo intento a guardare – anche lui – il panorama fuori da quel treno; il suo profilo rivelava un naso importante, un mento da pensatore e un’aria parecchio immersa nei suoi pensieri. Quello che tuttavia quel profilo non rivelava, ma anzi, in quella posizione celava, era una protesi oculare: un occhio di vetro. Un occhio finto. Ora che il ragazzo aveva ripreso a guardare davanti a sé, lei riusciva a vedere chiaramente che le sue due pupille non miravano lo stesso punto e che, mentre l’occhio buono si era incantato in posizione dritta davanti a lui, quello di vetro era rimasto in una posizione che forse non modificava mai, un po’ spostato a destra, come se continuasse a guardare lo scorrere della vita fuori dal finestrino.
La distanza tra quei due corpi oculari, una distanza sia fisica che simbolica, lasciava la ragazza senza parole, ma non senza domande. Impossibile non chiedersi come vedesse la vita quel ragazzo, con un occhio solo. Si era trattato di un incidente o il ragazzo era nato così, con un solo occhio buono? E quel solo occhio vedeva forse solo la metà del male del mondo, o era in grado di cogliere solo la gentilezza, cieco di fronte alla malvagità? Chissà se faceva male quel buio e quella mancanza. L’occhio buono aveva l’aria curiosa e gentile; l’altro, seppur sterile, aveva un’aria riflessiva e meditativa. La ragazza non riusciva a smettere di pensare che forse la presenza di un solo occhio vedente poteva aver permesso al ragazzo di sviluppare altre qualità e affinare altri sensi, come accade nei film. Ma l’occulto segreto rimaneva quando quell’occhio aveva smesso di funzionare. Forse era successo che ad un certo punto, stanco di vedere tanto marciume, quell’occhio un giorno, sovrappensiero, si era ritirato, preferendo non vedere più. O magari era nato cieco, quell’occhio, lasciando il compito all’altro di vedere solo una parte di questa realtà, incolume di tutto il resto. O forse…
Nel flusso di quelle mille congetture e supposizione, la ragazza venne colta di sorpresa proprio dallo sguardo dell’occhio buono del ragazzo, che – sentendosi osservato – si posò su di lei, incuriosito e stimolato dall’intensità di tanta attenzione. Ora era a lui a guardare lei e ora era lui a porsi tante domande sulla sua osservatrice. Fu allora, in uno sguardo soltanto, che lei capì cosa quell’occhio aveva da raccontare.
Mishel Mantilla
© Credit immagini: Courtesy Mishel Mantilla