“Ho trovato Dio”, queste le parole di Peg McGinnis, paziente dell’ospedale psichiatrico di Spring Grove, in seguito a 15 ore di psicoterapia mediata dall’uso medico dell’LSD. Solo qualche ora prima del trattamento, la donna, forzata al ricovero dopo un grave episodio di nevrosi depressiva, fornisce allo psicoterapeuta la sua idea della vita come entità vacua e insignificante; “la realtà è priva di bellezza” dice Peg.
Sono gli anni Sessanta e, in seguito alla scoperta del potenziale psicoattivo dell’LSD, la comunità scientifica occidentale inizia a nutrire un nuovo interesse rispetto all’impiego degli psichedelici in ambito terapeutico. Anche l’ospedale di Spring Grove promuove degli studi a riguardo, nella cura di soggetti affetti da malattie psichiche (depressione e nevrosi), e da dipendenze da alcol e droga. I risultati sono sorprendenti.
Nel 1965 la CBS diffonde un documentario, oggi disponibile su MUBI, che racconta il percorso di terapia di due pazienti: Peg McGinnis, già citata, e Arthur King. Terminato il trattamento, Arthur, dipendente dall’alcol, dichiara di non avere più desiderio di bere, torna a scuola e diventa un contabile. A distanza di anni, individua nella terapia di LSD il fondamentale punto di svolta della sua vita.

Ma in cosa questa sostanza rivela il suo enorme potenziale psicoterapeutico?
L’impiego di LSD, sotto stretto controllo medico, determina profondi mutamenti nella coscienza dell’individuo e nella percezione della realtà. Tre aspetti sono di particolare interesse neurologico: per prima cosa, durante il trip l’attività cosciente di memorizzazione non si arresta; inoltre, il soggetto non mostra avere postumi; infine, la sostanza è in grado di riportare alla coscienza contenuti d’esperienza rimossi.
Il paziente percepisce la scomparsa della barriera tra l’Io e l’ambiente circostante, trovando una via d’uscita dalla condizione di totale isolamento che caratterizza diverse patologie psichiche: si parla di neuroplasticità. L’LSD si rivela più efficace e immediata rispetto agli antidepressivi tradizionali, pur agendo secondo un meccanismo diametralmente opposto. Se gli antidepressivi sedano l’emotività del paziente, l’LSD spinge alla totale immersione e al brutale confronto con le cause della propria sofferenza.
Nell’ultimo decennio sono tanti i centri di ricerca ad aver ripreso gli studi sulle incredibili capacità dell’LSD, nel giro di qualche anno la sostanza potrebbe distaccarsi dallo stigma della sostanza psicoattiva e rivelarsi una preziosa risorsa nel contesto della salute mentale.
Emanuela Castaldo
Fonti: link
© Credit immagini: link