Le spiagge sono affollate, la gente ride, suda, vive.
È una di quelle giornate di fine estate che hanno già il sapore di nostalgia.
Dall’altra parte della strada rispetto alla spiaggia c’è un piccolo bar dai colori sbiaditi.
Un uomo è seduto a uno dei tavolini del bar, sotto un grande ombrellone blu: un giornale in mano, il cappello che pende un po’ a destra, un bastone da passeggio appoggiato al tavolo, sta sorseggiando un caffè.
È seduto con le gambe larghe e la grossa pancia gli cade in mezzo alle gambe. La schiena appoggiata alla sedia.
Un pallone giallo, di quelli che vendono in spiaggia, infrange la sua bolla. L’uomo solleva gli occhi per capire da dove arriva il super santos: un bambino si sbraccia e chiede di riavere indietro il suo pallone.
La sua mente vaga e ripensa a quando anche lui era bambino e aveva un pallone giallo proprio come quello. Sembra una vita fa, quando le gambe ancora non gli facevano male, il fisico era asciutto e i capelli in testa erano folti. Giocava sempre con Francesco, il suo migliore amico. Lui e Fra, Fra e lui. Da sempre e per sempre. Ne avevano passate mille insieme. Tipo quella volta in cui avevano bevuto troppo alla festa di paese e si erano dichiarati a due ragazze molto carine per cui avevano una cotta, ricevendo in cambio un clamoroso due di picche. Poi la serata era andata bene comunque, si erano divertiti. Mica erano i tipi da farsi venire il sangue amaro per un no. Però ecco, forse avevano esagerato con l’alcol, quello sì. Tanto che Francesco aveva deciso di fermarsi a dormire a casa dell’amico perché «se i miei mi vedono così mi ammazzano» e il mattino dopo aveva vomitato nel vaso dell’ingresso prima di tornare a casa sua.
Quando erano giovani loro, non si sa perché, c’era sempre un vecchio pronto a lamentarsi e a urlare «Ve lo buco quel pallone!» quando stavano tranquilli a fare due passaggi al parco. L’uomo ha sempre odiato quei vecchi: li riteneva anime noiose incapaci di ricordare la loro gioventù. Ma, ripensandoci ora, è un ricordo dolce, intriso di nostalgia che lo fa sorridere. Bisogna accudirli con cura i propri ricordi.
Con fatica l’uomo si abbassa, afferra il pallone e, mentre tenta di lanciarlo in modo goffo verso il bambino, gli urla «la prossima volta te lo buco questo pallone!». Le sue labbra si piegano a formare un sorriso e nel profondo spera di entrare nei ricordi di quel bambino e che anche lui da grande se ne prenderà cura.
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Melda Mehja