CONDIRSI – Cene a tema per il gusto di parlarsi a tavola (pt. 1)

Quella di quest’anno non è stata per me una bella primavera. Non direi certo come Gazzelle che è stata La Primavera Più Brutta Di Sempre, per carità. Ma già solo il fatto che ho ripreso proprio in questo periodo ad ascoltare le sue canzoni, compagne di infiniti momenti malinconici negli anni liceali, dimostra che ho passato momenti migliori.

Poi un giorno, dopo una domenicamara di quelle che cantavano i Canova, ho tornato a sentirmi viva, almeno per qualche ora. CONDIRSI offre questo: la possibilità di tornare a vivere e a respirare per un paio di ore. Almeno per chi per vivere ha bisogno di quella sensazione di pienezza che si prova quando ci si rende conto che, nonostante tutti gli automatismi della vita quotidiana, si è ancora capaci di ragionare, di riconoscere le emozioni, di capire e sentire l’altro.

Per farlo si serve di pochi ingredienti: un argomento (o tema) che possa coinvolgere l’esperienza di ognuno; un ‘esperto’ sull’argomento scelto, con la voglia di mettere in contatto con altri quello che gli ‘sta a cuore’ della sua ricerca; una regola di base: portare da mangiare e da bere come espressione di un dono reciproco. Davanti a uno spritz (per mantenere anche nell’intervista la convivialità alla base di CONDIRSI), Renato Tomba, ex professore di di materie letterarie nelle scuole superiori nonché ideatore di questa iniziativa di durata ormai decennale, mi ha raccontato dieci anni di cene organizzate, registrate e analizzate con passione

https://www.youtube.com/watch?v=cWaQ3UsqEqc&list=PLzLS15US-5nboLtHLqlrr7lZzyrq258oE

  • Tu metti a disposizione una volta al mese la tua casa per delle Cene a tema per il gusto di parlarsi a tavola. Si legge sul sito: Che cos’è CONDIRSI? Non è una buona domanda. Costringe a una definizione. E, anche se poi non se ne può fare a meno, meglio evitare qui di irrigidire e fissare ciò che invece è soprattutto l’esperienza di un flusso, una storia. Una storia che si fa, viene a comporsi, nella casualità degli incontri tra ospiti, a volte inattesi, a tavola. Di definizioni però ne dai parecchie sul sito e sono una più bella dell’altra: spazio di cura per i legami sociali, contesto di condivisione che fa della reciprocità del «trattare con cura», dell’«aver cura» la sua condizione di possibilitàDa cosa è nata l’idea di riunire a tavola persone più o meno sconosciute che, guidate da un esperto, mangiano insieme e discutono su un tema specifico?

Prima di trasferirmi dove abito ora, avevo istituito nella mia vecchia casa i ‘venerdì open’: insieme a un mio collega organizzavamo delle serate di chiacchierate, bevute e sottofondo musicale, in cui invitavo miei ex allievi a passare dopo cena e portare con loro chi volevano. C’era un’atmosfera caotica, raramente si coagulava l’attenzione generale su un solo argomento di discussione. Poi ho cambiato casa e ho cessato quell’attività. Per anni non ho organizzato più nulla, poi un giorno — era il maggio del 2013 — sono ritornato all’IPS Albe Steiner dove insegnavo per vedere una mostra e dopo, seduti al tavolo di un bar, il mio collega mi ha invitato a riaprire casa mia. Io ho rifiutato, ma un paio di allievi che ci ascoltavano hanno chiesto: «Perché no? Se non siete voi ad aiutarci a capire in che mondo viviamo, e come essere felici, chi altro?». La mia reazione è stata: «Okay, mi hai fregato». Abbiamo fatto la prima cena organizzativa nella cucina della mia casa attuale, eravamo in otto. Lì abbiamo messo a punto il format per soddisfare questa esigenza di comprensione e io ho richiesto la convivialità e l’incontro tra generazioni diverse. 

https://www.youtube.com/watch?v=f777xPk_PBE&list=PLzLS15US-5nYp8zYTZ8P5v09EvnkHz-uw

  • Tu scrivi che a tavola, la pratica riflessiva umana si fa pratica sociale. Non avviene in un vuoto, accade nell’atto dello scambiarsi, nell’offrire e nel ricevere, cibo e parole. L’atto di conversare e l’atto di mangiare insieme si rivelano per quello che sono, attività simboliche e quindi sociali per eccellenza. Perché, quindi, la convivialità, che è condivisione materiale e immateriale tra individui, dà un valore aggiunto alla conversazione? In che modo l’ospitalità, necessariamente implicata nel momento in cui ci si trova a cenare con chi è ‘estraneo’, permette di comprendere che la competizione è distruttiva del legame sociale? All’ultima cena di CONDIRSI a cui ho partecipato, parlando di competitività e di disuguaglianza sociale, ci si è resi conto che in queste serate viene accolto chiunque, anche chi non ha nulla da condividere, se non qualcosa da mangiare insieme e la voglia di stare in compagnia.  

A volte mi chiedono come faccia a fidarmi nel far entrare gente sconosciuta a casa mia. Allora mi viene in mente l’episodio dell’Odissea in cui Ulisse arriva sull’isola dei Feaci e viene accolto dal re senza che gli sia chiesto il suo nome, che si verrà a sapere solo dopo. È chiaro che chi viene alle cene è gente che riflette una certa condizione sociale, ma questo attiene ai divari sociali esistenti. Il senso di smarrimento di fronte a un mondo in trasformazione è comune e riguarda generazioni diverse. Ci si ritrova tra chi ha voglia di interrogarsi su questo smarrimento, su questa voglia di confrontarsi per capire dove si è. 

Elena Del Col

© Credit immagini: CONDIRSI

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