Ritorno alle radici: di luoghi dove “la vita è Altrove”

Ci sono dei posti che ti pienano l’anima. Ci sono dei posti che, senza bisogno di riformulazioni, riassestamenti, ricentramenti su di sé nella propria contingenza, ti spalancano il cuore appena vi poggi piede. Appena li sogni. Questi luoghi, inediti ma veri, paradisiaci ma terreni, apparentemente “fuori rotta” ma invece conquistabili, hanno (per la maggior parte degli Esseri abitanti il Pianeta) due forme: la forma di posti ancora sconosciuti agli occhi che, appena raggiunti, inondano chi vi gode di felicità pura, di un sentimento ineffabile di gioia misto a meraviglia; oppure, la forma di posti già visti e conosciuti, di mete raggiunte più e più volte, ma che in qualche modo fanno (ogni volta che vi si torna) “sentire a casa”.

Il mio di questi luoghi epici rientra nella seconda categoria. Un posto magico, ma terrenissimo, nemmeno troppo distante da dove abito. Un luogo che mi ha vista crescere (con corollari vari di pianti, risa, grida, paure e cambiamenti che mi hanno accompagnata negli anni) e diventare chi sono oggi. Un posto che è cambiato tanto nel corso del tempo, evolutosi in male (secondo il pensiero di chi qui ne scrive), votato al profitto e a fattezze incongrue con la sua bellezza primigenia. Venduto, come tanto altro oggi, alla turisticizzazione contemporanea. 

Ma nonostante ciò, nonostante il mio rancore velenoso per quello che oggi è diventato (un posto che impensabilmente potrò permettermi col mio magro stipendio di frequentare compulsivamente in futuro) vi ci sono indissolubilmente legata. 

Ne farò il nome, non tanto perché temo di rivelarne l’esistenza (ahimé, è fin troppo conosciuto), ma perché, se mai ci andiate (stipendio permettendo), possiate coglierne anche solo un briciolo di quello che trasmette a me ogni volta che ci riatterro. Le Dolomiti dunque. Le Dolomiti con i loro colori tenui e il loro albeggiare vigoroso. Con il loro sole rosaceo al calare che si riflesse sulle montagne antistanti.

Non le Dolomiti ovunque però, ma Selva di Val Gardena. Di posti ne ho visti molti (lo dico con tutt’altro che supponenza, ma cristallina consapevolezza del mio privilegio economico/sociale/culturale, che mi ha permesso di passarci tanti inverni da quando sono nata), ma un posto così non l’ho mai (ri)trovato altrove, non è mai stato sostituito, nel mio immaginario personale, dalle montagne del Nepal, dalle colline verdeggianti del Vietnam, dai picchi andini del Latinoamerica.

Quelle montagne, le loro linee definite e sinuose, maestose e vagamente inquietanti, mi hanno sempre restituito l’idea di un posto amico, di una casa lontana da Casa, di una culla dove consolare i miei malumori e coltivare, al contrario, il mio amore per le Cose. Mi hanno insegnato ad avere cura di me stessa e del mio tempo Altro, fuori dalla frenesia di una città (la mia) che ti fagocita anche i pensieri. Ad indulgere nell’aria fredda del mattino, in una fetta di strudel, in un piatto di canederli in brodo. Felice. Mi hanno tenuta per mano nel radicare alcune amicizie che mi porto dietro dal mio posto natale e, al contrario che farne di nuove, a ritargliarmi una rasserenante distanza dal “dovere di socialità” che ho sempre vissuto come impostomi dal XXI secolo. 

Quella valle abbracciata dalle montagne circostanti mi affascina sempre con la stessa intensità, tanto che tutt’oggi, quando sono lontana e me ne separo per lungo tempo, quelle vette (nella loro meraviglia innegabile), si affacciano ai miei pensieri con impertinenza, come monitor di uno spazio che avrei bisogno di ritagliare per me. Fuori da tutto. Mi raggiungono nei punti più distanti del Pianeta per ricordarmi che, in fondo, una bellezza che mi faccia sentire così non la troverò mai altrove.

Gaia Bugamelli

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